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Il
restauro, per natura giuridica, teorica, culturale, è ripristino funzionale
dell'opera d'arte e accurata opera di conservazione della stessa. La metodologia
corrente privilegia in queste operazioni la discreta, ma facilmente individuabile,
zona di intervento che dichiari l'avvenuto restauro. Queste teorie dovrebbero
trovare applicazione anche nel campo delle opere di cartapesta, ove molto
facilmente lo stesso viene confuso con il rifacimento più sfacciato e
sovrabbondante. Nel risanamento di opere di bassa qualità, provenienti
da autori improvvisati e sporadicamente impegnati, non è sempre opportuno
applicare queste alte enunciazioni di principio, ma di fronte ad opere
significative per epoca e per autore, cominciare ad imporre tali soluzioni
dovrebbe essere ormai imperativo. Certo, la committenza reclama il diritto
a vedere l'opera reintegrata nell'interezza della sua forma originale,
e qualsiasi ritocco che risulti tale suscita diffidenza. Ma sarebbe peggio
coprire con varie patine le parti rimaneggiate o ancor più usare violenza
se si allarga l'intervento di restauro a tutta l'opera, ove non fosse
necessario, proprio per "rimettere a nuovo" la stessa. Ed allora, abituiamo
la committenza ad accettare interventi discreti che, dalla prima fase
del consolidamento statico a qualsiasi velatura finale, non alteri l'originale
"aura" dell'opera, unica testimone muta del passato, che nelle pieghe
del suo manto, nelle fattezze delle sue mani, racconta la storia della
sua nascita.
Il
restauro del "Cristo Morto" - relazione
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In queste foto un esempio di un'opera prima del restauro (a sinistra)
e dopo il restauro (a destra). Si noti come un precedente restauro
avesse completamente alterato i colori originali della statua.
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